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  • Immagine del redattoreLuca Nucera

Nel nome di chi?


La notizia ci giunge dall'ONDUS, l'osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria: i barbari con il turbante nero (leggete miliziani dello Stato Islamico) hanno distrutto i resti del tempio di Baal Shamin, a Palmira. La città, caduta nelle mani del califfato il 20 maggio scorso (qui il nostro articolo), è da mesi teatro degli orrori e delle azioni più violente.


La "Sposa del deserto" è citata sia negli annali dei re assiri sia nella Bibbia. La sua storia, però, è legata alla regina Zenobia, seconda moglie del re di Palmira, il romano Settimio Odenato, che fece assassinare dal figlio. Dichiarata l'indipendenza da Roma, Zenobia si autoproclamò Augusta e attuò una politica ostile all'Impero, sostenendo invece l'esercito persiano. Fu sconfitta da Aureliano durante la campagna d'Asia, processata, riuscì a salvarsi facendo ricadere la responsabilità della ribellione sui suoi consiglieri, che ne fecero le spese. Aureliano allora la condusse a Roma come prigioniera, ma incantato dalla bellezza della donna, la liberò e le concesse una villa a Tivoli. (Questa, la versione a buon fine: in alternativa, Zenobia morì per fame o decapitazione). La sorte di Palmira rimase favorevole fino all'arrivo dei bizantini, quando la città perse importanza.


Khaled Asaad, l'archeologo custode del sito archeologico da oltre 50 anni, riuscì a salvare numerose opere d'arte e reperti prima dell'arrivo dei barbari dello Stato Islamico, trasferendole in diverse località più sicure.


Il tempio di Baal Shamin, risalente al secondo secolo dopo Cristo, era dedicato a Mercurio. Il nome, Baal Shamin, significa "Signore del cielo". Per gli esperti, il tempio era uno dei più importanti resti del periodo storico.


L'edificio, considerato "pagano" e dunque non degno di restare in piedi, è stato distrutto secondo le norme dell'Islam: è vietata la raffigurazione di uomini e animali, figuriamoci rappresentare una divinità. Non è un caso, infatti, che in Tunisia la strage del 18 marzo sia avvenuta all'interno di un museo, quello del Bardo, che custodisce opere e reperti che noi ammiriamo e che essi considerano simulacri che allontanano l'uomo dalla strada da seguire, la shari'a: "O voi che credete, in verità il vino, il gioco d'azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie, sono immonde opere di Satana. Evitatele, affinché possiate prosperare" (Sura V 90).


Di fronte a tali scempi, a simili atti di inciviltà e disumanità, ci si dovrebbe domandare, con la mente priva del tanto adorato politicamente corretto tipico delle cancellerie occidentali: "Nel nome di chi?".

E forse sarebbe ora di trovare una risposta a questa domanda.

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