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  • Giulia Guerrato

Quando è nata l'Europa?


Atene, teatro di Dioniso, 472 a.C.: va in scena la più antica opera teatrale che ci sia pervenuta. Una tragedia sui generis, perché - a differenza delle successive - non ha nulla a che fare con la mitologia. L'argomento, infatti, è la vittoria greca della seconda guerra persiana; dico vittoria greca perché sulle pendici dell'acropoli sedevano molti reduci dalla battaglia di Salamina (l'episodio decisivo, che risaliva ad otto anni prima della rappresentazione), anche se - forse - sarebbe più opportuno parlare di sconfitta persiana. Sì, perché - in modo piuttosto insolito, ma anche piuttosto sottile - il punto di vista è quello dei perdenti. Ecco, in estrema sintesi, la trama: nella reggia di Susa, Atossa - madre di Serse - attende l'esito della battaglia, che le è drammaticamente annunciato da un messaggero; in seguito lo spettro del defunto marito Dario, nel fare la sua prodigiosa comparsa, adduce una spiegazione etica alla disfatta (l'hýbris del figlio, di cui parleremo tra poco). Ora, come si spiega la scelta di questo rovesciamento di prospettiva? Con il fatto che il focus della tragedia non è tanto il fatto storico in sé, quanto lo scontro - fisico e, soprattutto, ideologico - tra due modelli: non si tratta solo di Grecia contro Persia, ma anche di pochi contro molti, di democrazia contro tirannide, di libertà contro schiavitù, di Europa contro Asia. E - naturalmente - non possono che vincere i Greci, per ammissione degli stessi Persiani. Per la prima volta, dunque, l'Europa si riconosce come entità e lo fa opponendosi ad un alterità di cui non si sente parte e di cui non vuole essere parte: l'Europa è non-Asia. Così, in attesa di sapere cos'è, ci si accontenta almeno di sapere cosa non è, ci si accontenta insomma di questa prima e provvisoria "definizione negativa". Si può dire - con una leggera forzatura - che la storia dell'Europa comincia nel momento stesso in cui rischia di finire, quando si deve decidere se arrendersi e diventare una propaggine asiatica o combattere e difendere quell'indipendenza che, se non è geografica, almeno è culturale. Ed è paradossale che due terre tanto unite geograficamente (nessun oceano o catena montuosa invalicabile le divide) non siano mai state tanto unite storicamente (il mito dell'unificazione perseguito da Alessandro Magno resse per poi anni e, comunque, vacillava fin dal principio); sotto questa luce, l'hýbris di Serse (l'atto di tracotanza cui alludevo prima) appare come un gesto dal significato altamente simbolico: il ponte di barche sull'Ellesponto (l'odierno stretto dei Dardanelli, che separa il mar Egeo dal mar di Marmara), che permise al Gran Re di "camminare sulle acque", è la violenza fatta alla Natura, la prevaricazione di un ordine che mai si aveva tentato di sovvertire, un qualcosa che mai era stato visto o pensato, ma che cambierà per sempre il corso degli eventi. Non bisogna dimenticare che la tragedia greca è - per sua stessa natura - il luogo del conflitto irresolubile, della frattura insanabile, della crisi (etimologicamente, momento o atto che prelude ad una svolta, discrimine): ciascuno dei due poli attorno a cui gravita l'azione ha le sue buone ragioni per perorare la propria causa, ragioni valide ed irrinunciabili. Non si può tornare sui propri passi, si può solo avanzare verso l'Altro, innescando una catena di fenomeni di attrazione e di repulsione, perché - in fin dei conti - non si può vivere senza l'Altro, ma non si può nemmeno vivere con l'Altro. Non a caso - mi azzarderei a dire - la prima attestazione dell'Europa come "collettività che persegue un obiettivo d'interesse comune" compare in una tragedia: si tratta di un processo complesso e ricco di stratificazioni, che ha suscitato, suscita e susciterà ancora polemiche (pensiamo - per fare un esempio attuale - alla questione della Turchia in Europa: è Europa? Sì? No? Per quali criteri? Geografico? Storico?...). Gli antichi sostenevano che la soluzione venisse da una sorta di disegno divino: Serse aveva voluto unire due terre che la Natura aveva diviso e, pertanto, la sua arroganza era stata punita. In altre parole, era destino che andasse così, era necessario ed inevitabile, e su questa convinzione l'Europa ha costruito il suo avvenire. Ed oggi? Siamo disposti a discutere le nostre convinzioni?

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