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  • Giulia Guerrato

La stortura della vite


Cercavo un libro da leggere senza impegno, così la mia scelta è ricaduta su "L'ora di lezione" di Massimo Recalcati, un po' per narcisismo (è dedicato a Giulia, giovane professoressa di lettere), un po' per il titolo magnetico (da qualche tempo ormai mi interesso di questioni legate alla riflessione sulla didattica ed alla Scuola in senso lato). «Perché parlarne qui? Che c'entra?» direte. Non deve farlo per forza: credo che qualcosa che suscita idee e che fa venir voglia di scrivere - sia essa una notizia, un libro, un incontro... - meriti di essere raccontata e condivisa, laddove ce ne sia la possibilità. La lettura, infatti, si è rivelata tutt'altro che poco impegnativa: si tratta di una riflessione - contemporaneamente (e paradossalmente) analitica e passionale - sul sistema-Scuola (dal Sessantotto ad oggi), sulla figura dell'insegnante, sul sapere, sulla parola, sulla società; riflessione ben lontana dai luoghi comuni in cui si rischia di cadere quando si affrontano questi argomenti («va tutto male», «non c'è più la buona Scuola di una volta», «non si vive di cultura», solo per citarne alcuni). La pars destruens c'è, ma funge da controparte all'elogio del sapere. Mi spiego meglio: c'è sì la critica alla Scuola (società?) moderna, che privilegia la prestazione (secondo il principio del minimo-sforzo-massima-resa) al pensiero critico, che evita ogni rapporto impegnativo col sapere, specchio di un'Italia che non approfondisce, che si accontenta di toccare la superficie (si nota in politica, nell'informazione, in televisione...); ma c'è anche l'"antidoto" a quest'indifferenza dilagante, all'apatia, all'appiattimento intellettuale, alla standardizzazione. L'antidoto è la stortura della vite. Anche qui devo spiegarmi meglio: vi sarà capitato di sentir parlare della "vecchia Scuola" che tirava su classi di "scolari-soldatini", che correggeva le singole imperfezioni così come i tralicci guidano - forzatamente e dolorosamente - la vite che sta crescendo storta (era, per capirci, la Scuola dei padri contro cui i figli si ribellarono nel Sessantotto, uno scontro generazionale che incarnava uno scontro ideologico). La stortura della vite è il simbolo della soggettivazione, dell'imperfezione, dell'incertezza, del limite.

Quale limite? Quello che non dobbiamo mai dimenticare, quello del sapere: che il sapere non è un "tutto-pieno", che il sapere è soprattutto un vuoto da cui nasce il desiderio del sapere stesso. Ed è proprio per questo che una Scuola che considera il sapere come un insieme di nozioni e di competenze trasmissibili nel modo in cui un filesi "copia-incolla" da un computer ad un altro è deleteria per la società; per dirlo con le parole di Recalcati,l'educazione come accrescimento, incremento, sviluppo progressivo ed illimitato della conoscenza è un mito fasullo del nostro tempo. Questo mito corrisponde al modello dell'economia globale che considera l'espansione narcisistica di se stessi come la sola forma della verità. Una società che considera le "storture", le diversità individuali non come valori aggiunti, ma come difetti da correggere (o, meglio, da omologare) è pericolosa; pericolosa perché essa mira solo a compiacere se stessa, inflazionando la parola, strumento potente tanto nel bene quanto nel male (di qui alla limitazione delle libertà soggettive - di pensiero, di parola, di stampa - il passo è breve, come abbiamo recentemente avuto modo di vedere). Ho scelto questo tra i possibili binari che avrebbe potuto prendere il mio discorso; ci sono molti altri spunti che mi farebbero scrivere e scrivere ancora, ma non mi dilungherò ulteriormente. Vi invito soltanto a coltivare la vostra curiositas, a mantenerla viva e pulsante, in difesa della libertà e contro l'indifferenza.

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