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  • Giulia Guerrato

La rivoluzione comincia tra i banchi di scuola


Si dice che la ricchezza di uno Stato si misuri in PIL; se, invece, si misurasse in cultura? Lo so, sarebbe difficile - impossibile, forse - quantificarla. Non mi riferisco alle classifiche europee o mondiali stilate sulla base di risultati scolastici medi o di introiti derivati dal turismo culturale. Mi riferisco ad un atteggiamento che tende a considerare la cultura non come un elemento marginale della società, ma come la struttura stessa della società, la sua trama, il suo passato, il suo presente ed il suo futuro. E se si parla di futuro, non si può non pensare al mondo dell'istruzione; è questo che mi spinge a dire che la rivoluzione comincia tra i banchi di scuola: un'istruzione di qualità significa una società di qualità. La qualità, però, costa ed è in queste situazioni - quando si deve scegliere se fare una spesa o un investimento - che si vedono i Paesi cosiddetti "avanzati", quelli che considerano i finanziamenti all'istruzione ed alla ricerca non una spesa, ma un investimento, quelli che fanno progetti a lungo termine, non che navigano a vista. Non si può - non si deve - aspettare di ristabilirsi dalla crisi prima di finanziare la Scuola: è come continuare a tassarsi sperando di far ripartire l'economia, come continuare ad ordinare al ristorante per rimandare il momento in cui si chiederà il conto che non ci si può permettere. Serve un'osmosi tra Scuola e Stato, un do ut des; serve uno Stato coraggioso, fiducioso e lungimirante; serve una Scuola attiva e funzionante. Il che innescherebbe un circolo virtuoso di produzione di ricchezza, da cui trarrebbero giovamento tutte le parti. Sì, è una scommessa; è una strada in salita ed il traguardo è lontano. Ma un Paese che non fa progetti - che vive alla giornata - è un Paese socialmente morto. Bisogna fare o lasciare spazio al nuovo che avanza, non con promesse vuote, ma con solide certezze. Certezze che questo è il Paese in cui un ricercatore non deve rinunciare ad un idea brillante perché, per esser messa in atto, necessiterebbe di un tempo più lungo di quello che il suo contratto a termine gli concede, il Paese in cui le menti eccellenti dicono "resto per renderlo grande". Certezze che in questo momento non ci sono.


Quanto investe l'Italia in istruzione e ricerca? Meno della metà di quanto investono Germania e Francia, nostri maggiori competitors europei. Non è, dunque, un caso che tra i tre Paesi l'Italia sia l'unico in recessione. Certo, il peso degli investimenti è esiguo anche negli altri due Paesi (si parla di cifre intorno al 2-2,5% del PIL), ma i segnali di ripresa sono incoraggianti e suggeriscono all'Italia di invertire la rotta, partendo dal basso - dalle tanto discusse "scuole-che-cadono-a-pezzi" - per arrivare in cima, alla ricerca d'avanguardia, alla formazione di personale preparato per le grandi e piccole realtà industriali che costellano il nostro territorio... Questo sistema necessita di basi stabili, di sostanza, non di forma; non ci salveranno la burocratizzazione selvaggia o le lavagne multimediali, non basteranno schermi touch-screen per coprire le crepe - figurate e reali - delle nostre scuole: in gioco c'è molto di più. Smettiamola di nascondere la polvere sotto il tappeto e ripartiamo dalle basi; questo è l'invito che faccio al nostro Paese.

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