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Orrore senza fine

  • Immagine del redattore: Luca Nucera
    Luca Nucera
  • 4 feb 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Questa volta è toccato al pilota giordano, e la perversa fantasia dei terroristi non si è limitata alla decapitazione: per un militare era necessaria una morte spettacolare, e così è stata. È stato arso vivo dentro una gabbia. Ovviamente il tutto è stato documentato da un video di oltre 20 minuti e pubblicato online.


Il pilota era stato catturato dopo che il suo aereo precipitò durante i bombardamenti contro le postazioni dello Stato Islamico e fin da subito la Giordania era disposta a trattare con i terroristi pur di restituire la libertà al proprio militare. Il video ha dimostrato ancora una volta, se fosse necessario, che mediare diplomaticamente con i terroristi islamici è un'illusione i cui risultati restano sempre di una violenza inaudita.


La barbarie dell'ISIS e dei suoi miliziani ha raggiunto un nuovo stadio con quest'ultima uccisione: dalle esecuzioni sommarie di un anno e mezzo fa a danno di criminali comuni o adultere, passando per la lapidazione dei primi adulteri uomini e per l'uccisione di due giovani condannati per atti omosessuali fatti precipitare dal tetto di un edificio e poi lapidati, siamo giunti fino al rogo le cui immagini sono state diffuse pochi giorni fa. Se fino ad ora eravamo tristemente abituati alle decapitazioni, com'era successo per James Foley, per Steven Sotloff, per David Haines, per Alan Henning e per Kenji Goto, questo salto ci fa temere solo ulteriori macabre esecuzioni.


Fondamentale è ora impedire un ulteriore diffusione del Califfato o di gruppi affiliati: Boko Haram continua a mietere distruzione e morte in Nigeria, mentre altri gruppi locali stanno impossessandosi via via sempre più dell'Africa mediterranea: esattamente quelle aree che si affacciano sul nostro stesso mare e dalle quali partono i barconi di profughi, disperati e (c'è questa brutta sensazione) anche di terroristi.


L'obiettivo dello Stato Islamico pare essere quello di esporre all'opinione pubblica delle nazioni facenti parte della coalizione la debolezza di quest'alleanza: nonostante i grandi discorsi dei leader, è un fronte con interessi eterogenei e decisamente non compatto. Gli alleati sembrano lottare per la spartizione della Siria e dell'Iraq piuttosto che per i prinicipi di cui si riempiono la bocca.


Il rogo del pilota giordano fa parte delle numerose tecniche ideate dall'ISIS per trascinare il Medio Oriente nel baratro della barbaria: allo stesso obiettivo risponde l'esecuzione dei due terroristi detenuti nelle carceri giordane. Questa decisione, presa dal governo di Amman in seguito alla morte del proprio pilota, sembra obbedire più alla legge del taglione per calmare la popolazione e l'opinione pubblica che al diritto. Tutto ciò serve solamente ad indebolire la coalizione, già di per sè instabile.


A combattere contro il Califfato sono i curdi, l'instabile esercito iracheno, Hezbollah libanesi e l'esercito di Assad. Il califfato ormai occupa un territorio grande come l'Italia, il doppio del Liabano (di cui ormai ha conquistato oltre il 5% del territorio), o della Giordania, con una popolazione di oltre 11 milioni di persone assoggettate alle leggi barbare e disumane della Shari'a. Nella coalizione guidata dagli Stati Uniti troviamo anche gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar (lo stesso Qatar in cui si svolgeranno i mondiali di calcio), accusati più volte di aver finanziato i gruppi jihadisti: non abbiamo scoperto l'acqua calda: questi finanziamenti sono realtà ormai da decenni, ma come al solito l'Occidente non vuole prendere una posizione: i soldi e gli interessi economici prima di tutto.

In America, Paese leader della coalizione, si deve ancora stabilire chi siano gli amici e chi i nemici.

Forse è questa la vera missione nella lotta al terrorismo.

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