A spasso tra le stelle
- Luca Nucera
- 24 dic 2014
- Tempo di lettura: 2 min

Sono trascorsi 3 anni da quando si tenne quest'intervista.
Questo è il mio modo per ricordarla, per ricordare le ore trascorse in quella stanza colma di libri e di gatti. Perchè proprio lì, tra quei volumi polverosi e davanti a quella donna così curvata dal tempo, cominciai a comprendere una delle straordinarie verità che, in bene o in male, ti cambiano la vita.
Non credo nella rielaborazione delle interviste: la stesura ottenuta subito dopo l'incontro, probabilmente, mantiene in sè il più alto grado di emozione dell'incontro stesso. Nessuna riedizione, nessuna elaborazione a posteriori, nessuna modifica può rendere meglio della stesura originale quanto è avvenuto in quel momento.
Devo ammettere che ho tentato di modificarla, di sistemarla, di renderla migliore: non ci sono riuscito. Gli errori di sintassi, di grammatica e di ogni altro genere non possono essere considerati errori bensì caratteristiche: così si esprimeva e così è stata trascritta.
Correggere queste caratteristiche significava alterare l'intervista stessa: non potevo permetterlo.
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Arrivammo in macchina circa venti minuti prima dell'orario previsto (le 16). Per non essere scortesi arrivando troppo in anticipo, perlustrammo la via (una zona residenziale a pochi passi dalla stazione di Trieste), scattammo qualche foto. C'erano eccitazione e ansia nell'aria, lo si può comprendere: eravamo appena in prima liceo, il timore di porre domande fuori luogo o alle quali avrebbe potuto rispondere a malo modo era considerevole. Era la nostra prima intervista, essere inesperti e poco preparati era il minimo. Di fianco all'alto cancello c'era una ciotola con del cibo per i gatti: a riprova, se necessario, del suo amore per questi animali. Ecco, già qui iniziano i rimorsi: perchè amava tanto i gatti? Potendo tornare indietro, cancellerei remore e tentennamenti: ogni domanda non posta, ogni risposta non data sono un pezzo di una grande Verità che non potranno mai più essere espresse.
Quando si aprì il cancello, contai i gradini: non lo faccio mai, nè mai penso di farlo. Però quella volta lo feci, tenendo la testa bassa a guardare gli scalini: erano di colore tenue, gentile. E quando li alzai, un maestoso gatto nero era fermo in cima alle scale: stava leccandosi con quell'eleganza che solo questi straordinari animali posseggono.
Lei era lì, vicino alla porta, con il suo bastone: a passi incerti ci avvicinammo al tavolo, attraversando quello che un tempo era stato un corridoio: ora solamente un altro luogo in cui conservare i libri. Erano proprio i libri, o meglio il loro odore, ad annebbiarti la mente appena entravi: un odore di carta usata, consumata, impolverata. Quell'odore, insomma, che rende ancora i libri cartacei insuperabili dall'e-book.
Seduti al tavolo, cominciammo l'intervista tra i miagolii dei numerosi gatti. La prima domanda riguardava la forma: le chiedemmo intimiditi se avessimo dovuto darle del "Lei" o del "tu": ovviamente rispose la seconda, ed ovviamente noi continuammo a darle del "Lei". Era un simbolo: e ai simboli non si può dare del tu.
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