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  • Immagine del redattoreLuca Nucera

Lettera aperta a Matteo Renzi


Egregio Presidente,


Le possibilità che legga questa lettera, volutamente pubblica, sono molte remote. Ma tentare non nuoce, vero? E allora tentiamo.

Parlare di politica con chi fa politica tutti i giorni non è facile: potrebbe cominciare a parlare in “politichese” girando attorno alle domande ed evitando di rispondere. Ma io provo lo stesso.


Parliamo di politica estera, e parliamo di ISIS. Presidente, cosa stiamo aspettando? Quanti altri James Foley dovranno essere barbaramente uccisi prima che l’Occidente si muova davvero? Prima che non siano solamente gli Stati Uniti d’America a rispondere al pericolo? Prima che l’Europa si degni di attaccare frontalmente il terrorismo? L’ISIS non è un pericolo solamente per il Medio Oriente: è un pericolo per tutti noi. È un pericolo per la cultura di cui la mia e la Sua storia sono imbevute. È un pericolo per l’Occidente. Ma non sono sicuro che la soluzione sia armare i peshmerga: è rischioso, soprattutto se consideriamo che è la medesima cosa che fecero gli americani in Afghanistan contro i russi: armarono i talebani. E i risultati sono stati pessimi. Non vorrei che, fornendo oggi armi ai peshmerga, creassimo i terroristi del domani costringendoci a difenderci da quelle stesse armi che abbiamo fornito loro. Ma altrettanto pessima sarebbe una nuova missione “Iraqi Freedom”: la soluzione è uno strettissimo rapporto di collaborazione delle forze alleate sia con i peshmerga, sia con tutti i Paesi arabi pronti a combattere questa nuova ondata di fondamentalismo. Ma il punto più importante sta alla fine della guerra: è indispensabile dividere l’Iraq in almeno tre nuovi Stati a seconda delle etnie e delle religioni. Nel nord la creazione di un Kurdistan indipendente e democratico garantirebbe un esercito pronto a difendere i propri confini dal terrorismo. Alla popolazione della zona centro – meridionale dell’Iraq dev’essere sottoposto un referendum per decidere se rimanere uniti in un nuovo Iraq oppure separarsi in due Stati indipendenti e sovrani, uno a maggioranza sunnita ed uno a maggioranza sciita.


Il terrorismo però non si combatte solamente fuori da casa nostra, ma anche e soprattutto all’interno delle nostre frontiere. In quest’Italia che Lei dice di amare e che io so di amare. Lo so, Presidente, che la sinistra italiana ha paura e so anche che quanto propongo può essere tacciato di essere di destra (come se essere di destra sia un reato). Ma, per dirla con le parole di una sua concittadina, “Nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile”. Questo, Presidente, è uno di quei casi. Nonostante la paura delle reazioni, bisogna imporre che qualsiasi preghiera si svolga in lingua italiana (mi riferisco a qualsiasi fede religiosa). Bisogna censire tutti i luoghi di culto, autorizzandone o meno la presenza. Bisogna poi espellere chiunque si sospetti sia affiliato all’ISIS. E per i cittadini italiani legati ai terroristi, bisogna prevedere il ritiro a tempo indeterminato del passaporto (nei casi più pericolosi perfino della cittadinanza) e l’obbligo di firma presso una stazione dei carabinieri qualsiasi nel territorio nazionale. Bisogna imporre l'obbligo di comunicare al Ministero degli Esteri qualsiasi viaggio nei Paesi in cui si reclutano i terroristi di questa nuova jihad, e chiunque non informi il Ministero di un proprio spostamento in tali zone dev'essere indagato per terrorismo e sottoposto a custodia cautelare fino a quando non sarà dimostrata l'innocenza o la colpevolezza. Non possiamo permetterci di allevare i terroristi in casa nostra. Non possiamo. E non lo tollero.


(Piccola parentesi. Il mio professore di latino e di greco, Luigi Salvioni, ha ripetuto per gli ultimi tre anni che un punto di unione tra l’Impero Romano e gli Stati Uniti d’America è la “certezza di risposta”. E cioè, se mi sequestri o uccidi un uomo con la cittadinanza romana, stai certo che prima o poi l’Impero te la farà pagare. E la stessa cosa accade oggi per gli Stati Uniti d’America. Vede, questo significa proteggere i propri concittadini all’estero. Ci pensi quando parliamo dei marò).


Per quanto riguarda l’Europa, invece, ci sarebbero moltissime cose da dire (e Lei probabilmente lo sa molto bene).

Ho creduto per anni all’Europa, e forse ci credo ancor’oggi. Ma non a questo tipo di Europa: dev’essere cambiata radicalmente, bisogna rendere la popolazione più partecipe, più unita. Non possono esistere 28 posizioni diverse in politica estera, in politica interna o in economia. Queste differenze che stanno alla base della democrazia devono essere finalizzate ad un percorso costruttivo e non ad una corsa ad ostacoli. Di questo passo, l’Europa è destinata a diventare preda dei movimenti euroscettici.

Con la lira saremmo già falliti. Forse però Margaret Thatcher aveva visto giusto “L’Europa è un pericolo per la democrazia, sarà fatale per i Paesi più poveri. Devasterà le loro economie”. Conoscendo i risultati delle politiche economiche messe in atto dalla lady di ferro, non posso non ammirare e stimare questa donna. Perché l’Europa così com’è non va bene: spetta a Lei cambiarla, spetta a Lei dare il calcio d’avvio a quella rivoluzione che renderà di nuovo l’Europa la “locomotiva del mondo”. Ma questa rivoluzione non deve in alcun modo comprendere l’annessione della Turchia. La Turchia, con la quale l’Italia intrattiene strettissimi rapporti economici, diventerebbe il principale nemico dell’Europa stessa: i fondi europei stanziati per le zone più povere ruotano attorno ai 340 miliardi; con l’annessione della Turchia, ben 125 miliardi annui scivolerebbero nelle casse turche, facendo saltare in aria l’intero sistema di finanziamento. Crede che possiamo permetterci il lusso di versare un contributo maggiore? Inoltre, diciamolo con sincerità, la Turchia ha davvero poco a che fare con la nostra cultura: considerando che entro fine decennio raggiungerà i 100 milioni di abitanti, diventerebbe lo Stato con la maggior rappresentanza all’interno del Parlamento Europeo. Peccato però che sia uno Stato a maggioranza musulmana, con una forte tendenza ad una radicalizzazione dell’Islam assai pericolosa. Crede che l’Unione Europea, fragile com’è, possa sopportare un simile peso? E poi i confini europei dove andrebbero a finire? In Iraq (parlavamo di ISIS prima?); in Siria (ma Assad è ancora lì, vero?); in Armenia (ma il genocidio armeno?). Per non parlare poi di Cipro. Insomma, la Turchia in Europa sarebbe una bella barzelletta, se l’argomento non fosse così serio.


Ma parliamo un po’ della tanto amata Italia.

Lo sprint con cui ha iniziato la Sua corsa Le ha garantito un vastissimo consenso. Anche un po’ del mio. (Ora Le spiego perché ho alcune riserve).

In economia serve maggior concorrenza: bisogna liberalizzare senza svendere. Vendere le aziende statali in profondo rosso e mantenere pubbliche quelle che garantiscono profitti. Bisogna tagliare le spese senza tagliare i servizi. So che è difficile, ma ciò si attua solo con un maggior federalismo fiscale associato a controlli sulla spesa pubblica più serrati. Bisogna inoltre che lo Stato diventi “forte con i forti”, e cioè che si faccia valere contro gli evasori fiscali di grosse dimensioni: pretendendo l’intera somma evasa, una multa che non sia irrisoria e incarcerando gli evasori.

Per quanto riguarda l’immigrazione, questo è quanto bisogna fare: soccorrere i migranti e portarli in salvo in strutture di primo soccorso e di accoglienza, identificarli e definirne la provenienza, comprendere quanti abbiano realmente il diritto di richiedere l’asilo politico. Gli altri devono essere immediatamente riportati nei Paesi di origine.


Dall’istruzione riparte il futuro, si sa. Ma non serve a nulla inondare di soldi il settore: serve piuttosto un intervento mirato, destinato a premiare le eccellenze del Paese. Una scuola di qualità si ottiene alzando l’asticella da entrambe le parti: sia per gli studenti, sia per gli insegnanti. Questi ultimi devono essere capaci e motivati, non parassiti a danno della comunità. La soluzione per liberarsi di tutti coloro che fanno la bella vita a spese dei contribuenti è la creazione del rapporto di lavoro tra docente e Preside, e non più tra docente e Stato (identità troppo spesso non definita chiaramente). Bisogna dare ai Presidi il potere di assumere e licenziare i docenti in base al merito e alla professionalità. In questo modo centinaia di docenti incapaci e parassiti finirebbero a casa. (Il rischio che si corre è la creazione di una “parentopoli” nella scuola: per questo ogni provincia si dovrà munire di speciali commissioni che valuteranno la legittimità di ogni assunzione o licenziamento). Inoltre permetta il finanziamento dei privati alle scuole tramite versamenti accreditati al MIUR, che si troverà a gestire le risorse ridistribuendole alle Regioni e “legandole” all’istruzione.

Ma quanto più serve oggi è il coraggio, il Suo coraggio: di investire, anche di indebitare lo Stato per dare fondi all’istruzione, a quella ricerca di cui l’Italia era ai vertici mondiali negli anni ’60 ’70 ’80. (Scienziati per lo più usciti da un Liceo Classico che formava e creava eccellenze. Ridia un nuovo slancio al Classico cercando di bloccare l’emorragia di cui soffre oggi).


Presidente, quello che deve fare ora è di ridare slancio all’Italia: la faccia tornare ad essere una potenza, la faccia tornare al ruolo di guida in Europa. E questo si ottiene con serietà, con tanto lavoro e smisurata passione.

Ce la farà?

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