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Quarta fase

  • Immagine del redattore: Luca Nucera
    Luca Nucera
  • 31 lug 2014
  • Tempo di lettura: 4 min

"Quarta fase": così si identifica la parte più complicata dell'occupazione di un Paese. Essa comincia dopo la conquista territoriale di uno Stato e dopo il totale disfacimento sia del potere politico sia di quello militare. Comincia, insomma, quando si inizia a parlare di stabilizzazione, di normalizzazione.


La "quarta fase" richiede maggior pianificazione, maggior tenacia, maggior addestramento. La "quarta fase" è la più delicata: un errore anche minimo può portare un Paese alla deriva ed al caos della guerra civile. Ed è esattamente quello che è accaduto in Iraq dopo la Seconda Guerra del Golfo, ovvero dopo l'invasione americana del 2003.


L'invasione di terra, la conquista del potere politico e lo scioglimento dell'esercito si sono sviluppate secondo le previsioni ed i piani del Pentagono. La "quarta fase", invece, no: l'errore però nacque nella fase precedente, e cioè nello scioglimento delle forze di polizia. Infatti esse erano le uniche che potevano controllare realmente il territorio, conoscendo le usanze delle varie popolazioni. Si ricordi che l'Iraq è un melting pot di culture che, a guardarle con occhi occidentali, sembrano tutte uguali: in verità convivono popolazioni sciite, sunnite e curde. Il sunnismo è l'orientamento religioso maggioritario nell'Islam, mentre lo sciismo è la maggiore tra le minoranze dell'Islam. Lo scisma ebbe inizio nel 632, alla morte di Maometto. Così scrive Lilli Gruber in "L'altro Islam":


"Nel 632 si aprì inevitabilmente il problema della sua successione [di Maometto]. Per la maggioranza dei musulmani, egli non aveva designato in modo chiaro l'uomo che avrebbe dovuto sostituirlo nella direzione delle questioni spirituali e politiche della comunità. Come prevedevano le tradizioni tribali che regolavano la scelta di un capo, i compagni del Profeta si riunirono per eleggere una nuova guida e la scelta cadde su Abu Bakr. Coloro che successivamente riconobbero tale linea di successione sarebbero diventati i sunniti.

Ma per un piccolo gruppo, raccolto intorno al genere del Profeta, Ali, Maometto aveva designato lui come erede del suo potere spirituale e temporale. Sostenevano che il Corano su questo punto era cristallino, e che nella sua immensa saggezza il Profeta non avrebbe mai lasciato irrisolta la fondamentale questione della sua soccessione.

Non bisognava far caso alla giovane età di Ali, anche se le tradizioni privilegiavano un'età più matura per condurre gli affari della comunità. Era cugino di primo grado del Profeta e all'epoca, dalle tribù arabe, questa parentela era considerata il legame più nobile. Inoltre Ali era diventato genero del Profeta sposandone la figlia Fatima e gli aveva donato la sua sola discendenza maschile, Hasan, Hussein e Abbas.

Ali, dunque, sarebbe stato considerato da allora dai suoi seguaci - gli sciiti - la guida, il capo, il primo di una dinastia di imam, eredi diretti di colui che aveva la parola di Dio. [...]

Ali venne assassinato il 28 gennaio 661, si dice Najaf. Alla sua morte gli Omayyadi [dinastia] presero il potere, fondando la prima dinastia dell'Islam sunnita." [Lilli Gruber, "L'altro Islam", pag. 69]


Dei figli maschi di Ali, Hasan, designato a guida, abdicò di fronte alle ostilità degli Omayyadi. Hussein invece fu affrontato con un esercito nei pressi di Karbala, dove morì il 10 ottobre 680. Per lo sciismo, questo episodio rappresenta la sconfitta della giustizia, del diritto e dell'intelligenza davanti alla forza bruta.


Di questo gli americani non hanno tenuto in conto nella progettazione della "quarta fase": del crogiolo di etnie in conflitto tra loro. Come abbia fatto Saddam a mantenere sotto controllo tutte queste fazioni è presto detto: più che un dittatore, Saddam dispensava favori e faceva da mediatore tra le varie parti, garantendo una certa tranquillità. (Certo, sia chiaro: c'era anche l'arma del terrore e delle torture. Le carceri erano piene di prigionieri durante il governo di Saddam. La più grande amnistia, messa in atto dopo la vittoria pilotata delle elezioni, ridiede la libertà a tutti i prigionieri politici e non. Gli unici che non godettero di tale amnistia furono gli assassini).


Ma più grave, invece, è stato il non aver dato importanza ai segnali di pericolo lanciati da alcuni membri dell'esercito o del Pentagono prima dell'invasione. Essi sostenevano infatti che per la stabilizzazione dell'Iraq erano necessari almeno 300.000 uomini, un piano dettagliato e un addestramento specifico ai soldati. Non era accettabile, insomma, che la formidabile macchina da guerra americana, che costava quasi 500 miliardi di dollari all'anno ai contribuenti americani, si inceppasse davanti a bande disperate e mal equipaggiate. (Quello che successe a Falluja, per esempio).


È evidente che, su un numero complessivo di 1,4 milioni di soldati (ma solo una parte è realmente membro delle forze combattenti), dispiegare oltre 300.000 uomini diventava impossibile, come impossibile diventava garantirne un cambio alle unità in campo. Il Pentagono subito dichiarò che tali numeri erano esagerati, e che 150.000 uomini sarebbero bastati per la "quarta fase".


I fatti dimostreranno che non è così, e che chi accettò l'inivio di un numero così misero di soldati dimostrò la propria totale incapacità. (O, in alternativa, dimostrò che le proprie previsioni erano corrette: 150.000 uomini erano sufficienti a garanti all'Iraq un futuro di guerra civile, caos ed instabilità).


Ai militari americani mancò totalmente una strategia da seguire, un piano da portare a termine, trovandosi così faccia a faccia con una situazione ingovernabile: nessuno ricevette direttive su come affrontare i saccheggi seguiti alla caduta di Baghdad, o come mantenere l'ordine nelle strade della capitale come di tutto il Paese.


Vero è che questa totale mancanza di organizzazione non avrebbe dovuto stupire nessuno: era palese che l'amministrazione Bush non si interessasse di "nation building". Probabilmente l'obiettivo dell'amministrazione americana era quello di distruggere uno Stato, e non di costruirne uno migliore e democratico.


Ancora più drammatica diventa la situazione se si considera che, andando in guerra con pretesti illusori e trascurando la vera guerra al terrorismo, Bush ha concesso ad Al Qaeda ben due anni per riorganizzarsi.


Queste sono alcune tra le basi per capire cosa sta accadendo ora in Iraq e per comprendere come Baghdad sia una polveriera, pronta ad esplodere alla prima scintilla. Bisogna capire come impedire che faccia saltare in aria l'intero Medio Oriente, creando problemi anche a noi.

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