Si riparte?
- Luca Nucera
- 13 lug 2014
- Tempo di lettura: 3 min

Nel corso della Storia, anche prima dello sviluppo del capitalismo, le crisi economiche non sono mai mancate: la grande depressione del '29 è solo un esempio famoso. Potremmo riportare altre crisi, come quella scoppiata nel 1873 che si protrasse per oltre vent'anni, oppure più recentemente in Argentina.
(Piccola parentesi storica. La grande depressione venne risolta negli Stati Uniti d'America in due fasi: il primo New Deal, ed il secondo New Deal. La prima fase di questo nuovo corso inizia con sprint straordinario: dura circa due anni, duranti i quali vengono messi a punto sostanziali provvedimenti, come lo stanziamento di oltre 500 milioni di dollari in favore del ricollocamento nella costruzione di opere pubbliche dei disoccupati, oppure il taglio delle spese federali, oppure una maggiore concorrenza tra aziende, e contemporaneamente alza le aliquote dirette per i redditi più elevati. La seconda fase, invece, procede a rilento: impiega tra i tre e i cinque anni per essere messa a punto, e Roosevelt, suo ideatore, avanza con cautela. Le riforme più importanti di questa seconda tranche di provvedimenti prevedono e l'istituzione di un sistema di Welfare simile a quello degli altri Stati, e il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Fine parentesi storica).
In sostanza, Roosevelt varò un pacchetto di riforme dall'ideologia facilmente accostabile a quella espressa, nello stesso periodo, da John Keynes. Egli infatti riteneva il mercato incapace di autogestirsi, prevedendo invece un intervento dello Stato nell'economia stagnante con il fine di aumentare la domanda di occupazione, anche tramite l'aumento del debito pubblico.
Nell'attuale situazione economica, la scelta dell'Europa è ben diversa: impostate sul rigore tedesco e sulle interpretazioni restrittive dei trattati internazionali, le riforme messe in atto dai Paesi membri puntano invece verso un'altra rotta. Credendo ciecamente nella legge di Say, che afferma l'impossibilità di un prolungarsi di una crisi economica, gli Stati europei hanno voluto insistere sul taglio indiscriminato della spesa pubblica. (Non sono qui per spiegare quanto sperimentiamo sulla nostra pelle: l'incapacità dell'Europa di far fronte a questa crisi è palese, a differenza dell'accennata ripresa che invece interessa gli Stati Uniti).
Va detto che la teoria di Keynes ha gli aspetti positivi come quelli negativi. Perchè, se da una parte troviamo l'idea di uno Stato che interviene nell'economia per rilanciarla, dall'altra ciò avviene grazie all'aumento del debito pubblico e cioè avviene prendendo i soldi dal portafogli dei figli. Il deficit pubblico dev'essere mantenuto sotto controllo, ma al contempo lo Stato deve intervenire per dare il calcio d'avvio all'economia.
Altrettanto interessanti, invece, sono le riforme economiche approvate dai vari governi di Margaret Thatcher.
Ideologicamente conservatrice, le azioni che intraprese nell'economia britannica la resero famosa in tutto il mondo: libero mercato, privatizzazione delle industrie e dei servizi pubblici, riduzione delle tasse, riduzione e revisione della spesa pubblica. Riuscì, in soli undici anni, a far diventare il Regno Unito la potenza che conosciamo noi oggi: i governi precedenti - laburisti e cioè socialisti - erano stati costretti a contrarre un debito con il Fondo Monetario Internazionale, l'economia arrancava e la spesa pubblica aumentava a dismisura senza però riuscire a rilanciare la crescita (a differenza della teoria di Keynes). Margaret Thatcher privatizzò le aziende pubbliche che non garantivano profitti, mantenendo pubbliche quelle che invece ne garantivano, chiuse le miniere di carbone che procedevano esclusivamente grazie ai sussidi statali, diminuì i controlli nelle transazioni finanziarie rendendoli più efficaci, aumentò la concorrenza e la libera impresa. Lo Stato partecipava esclusivamente fornendo le opere essenziali per facilitare la nascita di aziende private. "Le mie politiche" affermò "non sono basate su qualche teoria economica, ma su una cosa con cui io e milioni come me siamo cresciuti: un giorno di onesto lavoro per una paga giornaliera onesta, vivere con i propri mezzi, mettere da parte qualcosa per un giorno di pioggia, pagare le bollette in tempo".
Per quanto questa donna, a mio parere straordinaria, possa non stare simpatica, non ammettere i risultati straordinari delle riforme messe in atto è puramente ipocrisia.
Quello che manca in Italia ed in Europa (ma forse anche in America) è una nuova Margaret Thatcher, una figura forte (ma eletta democraticamente) che sappia come rilanciare l'economia con nuovi strumenti e nuove idee. Perchè, diciamolo pure con franchezza, nè Angela Merkel, con il suo odiato rigore, nè Matteo Renzi, con le sue straordinarie promesse, riusciranno a tirarci fuori da questo pantano.
Negli anni '80, durante i governi Thatcher, l'intera Europa si schierò contro le riforme della lady di ferro: solo l'America di Reagan, conservatore, si schierò al suo fianco. In seguito alcuni hanno provato ad imitare le riforme, fallendo miseramente o commettendo errori colossali (soprattutto in Italia).
Chi sia la nuova Margaret Thatcher, non lo so. So solamente che l'economia è ferma e che il fischio che segna la partenza del treno non è ancora stato lanciato. E dunque no, non è ancora giunto il momento: non si riparte.
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