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  • Immagine del redattoreLuca Nucera

IL 17 APRILE IL MARE È CHIUSO


Una data molto importante si sta avvicinando, è nel calendario da tempo ma solamente in pochi ne sono a conoscenza: stiamo parlando del 17 Aprile, domenica, giorno di referendum.


PER COSA SI VOTA?

Il quesito referendario è il seguente: "Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?"


DI COSA STIAMO PARLANDO?

Parliamo dell'estrazione di gas e di petrolio in mare, entro le 12 miglia marine: esattamente (come si evince da questa pagina del Ministero dello Sviluppo Economico) sono 92 le strutture ubicate all'interno delle 12 miglia, di cui solo 48 effettivamente in funzione. Il quesito referendario chiede all'elettore se vuole cancellare la norma che prevede la proroga delle concessioni fino all'esaurimento del giacimento; la normativa precedente invece prevedeva una serie di proroghe fino ad un totale di 50 anni (dopo 30 anni dalla concessione originaria si poteva chiedere un rinnovo di 10, al termine del quale si potevano chiedere altri due rinnovi di 5 anni, terminati i quali il giacimento non poteva essere più utilizzato). Chiariamo fin da subito che sono già vietate la ricerca e le nuove trivellazioni entro le 12 miglia, mentre il referendum non riguarda le strutture situate oltre le 12 miglia marine.


PERCHÉ ANDARE A VOTARE?

Il governo Renzi ed il Partito Democratico puntano sull'astensionismo, facendo di tutto affinché il quorum non venga raggiunto (e dunque l'esito non sia valido: per validare il risultato del referendum è necessario che il 50%+1 degli aventi diritto al voto si rechino al seggio). NULLA DI PIÙ SBAGLIATO: votare è un diritto, certamente, ma non solo: "il suo esercizio è un dovere civico", dice la Costituzione. E poi votare è segno di partecipazione attiva, di interesse; chi vota non è un ignavo.


PERCHÉ VOTARE Sì

Le motivazioni sono tante: da quelle ambientaliste a quelle economiche.


1) La possibilità di continuare ad estrarre senza limiti di tempo è illegittima: viola le normative europee sulla libera concorrenza, in base alle quali la durata dell’autorizzazione non dovrebbe superare “il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa”. Quindi l'Italia, nel caso in cui vincesse il no violerebbe le normative europee, rischiando sanzioni economiche. (d. lgs. 25 novembre 1996, n. 625)


2) È impossibile evitare rischi ambientali: è vero anche che gli incidenti sono molto rari, ma se si verificasse, sarebbe un danno ecologico ed economico inestimabile: in un mare come il Mediterraneo una fuoriuscita di petrolio danneggerebbe l'economia ittica e turistica per decenni. Secondo questo rapporto europeo, tra il 1994 e il 2000 si sono verificati oltre 9 mila piccoli sversamenti in mare di petrolio da attività di estrazione nei Paesi europei.


3) Il futuro è verde, per chi vuole vederlo: il petrolio appartiene al passato e l'Italia deve puntare sulle energie rinnovabili. Acqua, sole e vento sono la vera energia dell'Italia: già oggi l'Italia ha raggiunto - in anticipo - gli obiettivi europei, producendo oltre il 17% dell'energia consumata da fonti pulite (qui i dati). Il nostro obiettivo però è poco ambizioso: nel nord Europa si produce già il 50% da rinnovabili.


4) L'Italia non ci guadagna: le royalties, e cioè quanto devono pagare le compagnie petrolifere per estrarre, sono davvero basse: pari solo al 10% per il gas e al 7% per il petrolio in mare. Inoltre sono esentate dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte ANNUALMENTE in mare, 20 mila quelle estratte in terraferma; per quanto riguarda il gas, sono i primi 25 milioni di metri cubi estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi estratti in mare. Entro questi limiti è tutto gratuito: nel 2015 solamente 5 concessioni produttive di gas e 4 di petrolio hanno pagato le royalties.

Guardando all'estero troviamo l'abolizione delle royalties in diversi Paesi europei, come Gran Bretagna, e Danimarca, nei quali però si applica un prelievo fiscale per le attività di esplorazione e di produzione pari rispettivamente a 82% e 77%.

L'Italia ha guadagnato nel 2015 circa 352 milioni di euro (qui i dati precisi): la quota versata dalle piattaforme entro le 12 miglia corrisponde solamente a meno di 40 milioni. L'eventuale perdita per le casse pubbliche non sarebbe dunque rilevante.


5) Il consumo di energia elettrica in Italia è in costante diminuzione, come quello di gas, da ben 10 anni (come si evince dal questo rapporto del 2014 del Ministero dello Sviluppo Economico).


6) Le trivellazioni e le estrazioni non si fermerebbero subito dopo l'esito del referendum: le prime piattaforme si fermerebbero tra circa 2-3 anni, le ultime nel 2035. I posti di lavoro, quindi, andrebbero persi solamente nello stesso momento in cui era stato previsto alla firma della concessione, nessuno perderebbe il proprio lavoro in anticipo. I dati sugli occupati, comunque, non sono certi: Assomineraria, l’associazione delle industrie del settore, parla di 13mila persone; la Filctem, la federazione dei lavoratori chimici della Cgil, parla di circa 10mila addetti solo a Gela e Ravenna. L’Isfol, ente pubblico di ricerca sul lavoro, parla di 9mila occupati in tutto il settore (mare e terra). Il sindacato dei metalmeccanici Fiom Cgil afferma che gli occupati entro le 12 miglia sono meno di cento. Sicuro è che le attività non sono labour intensive: gli addetti intervengono solamente durante la trivellazione, mentre la maggior parte del lavoro è manovrata da remoto.


7) Il petrolio estratto entro le 12 miglia corrisponde a meno dell'1% dei consumi nazionali, mentre il gas copre circa il 3% del fabbisogno nazionale: quantità irrisorie, rinunciando alle quale non si altererebbe la bolletta energetica nazionale. Per quanto riguarda l'indipendenza energetica, è ben poca cosa: si stima che l'insieme delle riserve dei fondali marini italiani corrisponda a 7,6 milioni di tonnellate di petrolio e 53,7 standard metro cubo di gas. Rispettivamente sette settimane di consumo nazionale di petrolio e meno di un anno di gas.


È evidente che in Italia manca totalmente un piano energico nazionale e che vige, come al solito, una politica a tentoni: si provano varie strade, generalmente le più facili e le più battute, sperando di rimandare il problema.

È altrettanto certo che l'inettitudine della classe politica ha portato alla necessità di cancellare a colpi di referendum quelle norme che si tenta di far passare come piano energetico.


Però ora è importante che venga raggiunto il quorum, ed altrettanto importante è che il nostro Paese finalmente possa prendere la via dell'energia sostenibile: fonte di ricchezza e di lavoro che può rendere l'Italia leader nel mondo.


Per questo motivo, per questi motivi, domenica 17 Aprile è importante votare "" perché sia davvero per il nostro Paese #lasvoltabuona.

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