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  • Immagine del redattoreLuca Nucera

Bruxelles - Ankara: tra attentati e accordi


Bruxelles, 22 Marzo. Sta diventando la solita routine, nei soliti posti: aeroporti e metropolitane; il solito modo d'agire: kamikaze; i soliti risultati: morte, distruzione e poi tante belle parole sulla pace - termine ormai violentato più di qualsiasi altro - e soprattutto sull'integrazione.


I fatti li sapete. Il piccolo Belgio ha attirato su di sè gli occhi di tutti gli osservatori internazionali, facendo sorgere spontanea una domanda: perché proprio Bruxelles, perché proprio il Belgio?

L'estremismo islamico trova terreno fertile solo in determinate condizioni del tessuto sociale in cui prolifera: una consistente e poco integrata comunità islamica con un elevato tasso di disoccupazione, autorità inefficaci, instabilità politica, estrema facilità nel procurarsi le armi e ottimo sistema di comunicazioni e trasporti. Ecco, il Belgio riesce a racchiudere tutte queste caratteristiche, diventando da tempo noto per la veloce espansione dell'ideologica islamista.


Osserviamo la situazione politica e amministrativa belga: decisamente frammentaria e fortemente instabile. Il Belgio è essenzialmente diviso in due, tra fiamminghi e francesi, e Bruxelles stessa è divisa: ha 19 sindaci e ben 6 dipartimenti di polizia che, ovviamente, non collaborano tra loro. In questo articolo, un'attenta analisi dello Stato belga, viene definito "uno Stato fallito":

1) nonostante l'aiuto di tutte le intelligence internazionali, il governo di Bruxelles non è stato in grado di identificare e ancor meno fermare la macchina terroristica saldamente piantata nelle sue viscere;

2) ci troviamo di fronte ad un gruppo che in 48 ore dalla cattura del suo leader è riuscito a reagire attaccando la capitale europea, una città militarizzata, in luoghi che, a parole, erano stati messi in sicurezza: è riuscita insomma a trovare armi e esplosivi, combattenti e appoggi logistici ed è riuscita a piazzarli senza essere scoperta;

3) il terzo aspetto non riguarda strettamente il Belgio, ed è il problema finanziario: chi finanzia questo fronte? Le operazioni terroristiche che abbiamo visto a Parigi e a Bruxelles richiedono fiumi di denaro in tempi per molto temppo: non basta solo vendita di petrolio, di beni storici e prostituzione. Questa è una montagna di denaro che solamente un'entità statale può fornire (stiamo parlando della Turchia?)


L'insieme di questi tre punti può fornirci alcune risposte.

1) Le misure messe in campo per contrastare il terrorismo non bastano: la prova è Bruxelles, in cui sono stati pianificati e realizzati due attentati nella città più militarizzata d'Europa. (Il che fa capire anche che lo spiegamento dell'esercito a sorvegliare le strade e le piazze non è la via migliore per garantire sicurezza, anche se è quella indubbiamente più scenica). L'intelligence è l'unico mezzo che abbiamo che possa impedire gli attentati, e gli Europei dovranno abituarsi ad avere meno privacy per avere più sicurezza.

2) Non bisogna in alcun modo sottovalutare la vastità del fenomeno: la forza militare, organizzativa e politica di chi ci sta attaccando è enorme. Solamente ora si comincia a rendersene conto, considerando anche la nota del ministero degli interni inglese che informa le proprie unità della possiblità non remota di un attacco coordinato nella city con anche 10 obiettivi.

3) È giunta l'ora di indicare chiaramente i responsabili, il vero nemico politico che ci sta dietro: fare i nomi degli Stati che finanziano queste operazioni. Molti di questi Stati, magari, sono anche nostri alleati: questo rende tutto molto più difficile, si sa: interrompere relazioni internazionali può portare a enormi danni economici, ma almeno si chiariscono definitivamente quali sono gli schieramenti di questa guerra.


"A tre giorni di distanza ci sono ferite che ancora non siamo riusciti a suturare, a tamponare. E in una decina di pazienti almeno le ustioni sono del grado più alto. Sono tutte ferite di guerra" la sincerità del dottor Christian Melot, capo delle urgenze di Erasme, ci sconcerta. Ad impaurire ancora di più, però, sono le rivelazioni del quotidiano belga La Dernière Heure che svela qual era il piano degli attentatori prima della cattura di Salah: attaccare la centrale nucleare belga di Liegi.


In tutto questo, la politica europea come risponde? Stipulando un accordo con la Turchia che sa da miopia. L'Europa ha semplicemente delegato alla Turchia il problema, pagando ben 6 miliardi di euro e promettendo una accelerazione nelle trattative per l'annessione all'Unione: tre errori per i quali pagheremo a lungo le conseguenze.

Il piano prevede il rimpatrio in Turchia di tutti i migranti arrivati sul suolo europeo in modo illegale dal momento della firma; al contempo sono previsti meccanismi per il ricollocamento in Europa dei profughi presenti nei campi di assistenza turchi, in un rapporto "uno a uno", fino ad un massimo di 72 mila persone all'anno. Peccato però che nel 2015 siano entrate oltre un milione di persone in Europa dalla Turchia, e dall'inizio del 2016 siano già oltre 142mila. E, per avere questi servigi, l'Europa paga subito 3 miliardi alla Turchia, promettendogliene altri 3: una cifra non trascurabile, con la quale si sarebbe potuto fare molto qui in Europa: predisporre un piano europeo di accoglienza, identificazione (magari anche espulsione) e creare un sistema che da una parte possa difendere meglio i nostri confini continentali, dall'altra possa migliorare non solo la prima accoglienza, ma anche la quotidianità. Sarebbe stato un progetto lungimirante, che avrebbe guardato forse troppo oltre la cieca vista dei politici di Bruxelles. Per non parlare, poi, della follia che si prospetta: l'annessione all'Unione Europea della Turchia. Una possibilità alla quale dico chiaramente "NO GRAZIE".

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